FOMO: tra perdere qualcosa e perdere se stessi

Di Alessia Grimaldi - Scritto il

 

Avete presente la sensazione di perdere qualcosa? Come quando vi tastate la tasca dei pantaloni e la sentite svuotata, senza chiavi o portafogli. PANICO.
Oppure vi ricordate quando ancora non esisteva lo streaming dei programmi televisivi e partecipare a una festa poteva voler dire perdere la puntata settimanale della sitcom del cuore. In quel caso era persa per sempre, non c'era modo di recuperarla se non captando qualche stralcio dal riassunto nella puntata successiva. Che strazio.

Poi è arrivato lo streaming e la rete 4G e non solo possiamo vedere puntate e film on-demand, ma anche rivederli ogni volta che vogliamo e addirittura mandare indietro di qualche frame se ci siamo persi qualcosa per distrazione.

Insomma lo streaming sembrerebbe essere l'antidoto alla nostra ansia da perdita di contenuti. E invece no, sarebbe troppo bello. Ci sono i social e i contenuti "a tempo".

Se siete anche solo un pochino internauti avete già capito che parlo delle stories di Instagram, ovvero quei contenuti audio e video che permangono online solo 24 ore. Poi… puff! si volatilizzano. Questa modalità di condivisione ha fatto nascere una nuova "ansia sociale" chiamata FOMO, fear of missing out, letteralmente "paura di essere tagliati fuori", di perdere qualcosa.
Più che paura di non sapere cosa sia successo, è la paura preventiva di poter perdere qualche contenuto o notizia notevole stando offline per troppo tempo. E di conseguenza essere tagliato fuori dalle conversazioni il giorno successivo.

 

 

L'acronimo è stato coniato per descrivere un disordine psicologico causato dall'uso troppo frequente della tecnologia che, prevedibilmente, interessa soprattutto i giovani. 
Secondo uno studio americano un utente medio guarda lo smartphone circa 150 volte al giorno, ovvero una volta ogni 6 minuti. A partire dal risveglio, con un controllo dei social proprio appena si aprono gli occhi, alla spasmodica ricerca di notifiche o notizie cruciali. Una smania di essere connessi che penalizza la vita sociale e i momenti idi condivisione. 
La vera patologia sorge quando il controllo ossessivo delle bacheche social non è motivato nemmeno da un reale interesse, ma solo da noia, invidia, solitudine. È un bisogno ingiustificato di sapere, che se non soddisfatto porta ad ansia e crisi d'astinenza. 

 

 

Chi soffre di FOMO, infatti, non si limita a praticare il controllo ossessivo del web in casa propria o quando è da solo, ma persevera nella pratica anche in compagnia, a cena, al bar con gli amici, alle feste. Insomma l'atteggiamento non è solo un modo per riempire i vuoti di noia alla fermata del bus o per distrarsi dallo studio. La FOMO si manifesta in ogni situazione, perché chi ne soffre non è più in grado di distinguere quelle situazioni che richiedono distacco completo dal telefono. Insomma se il vostro amico regge con la sinistra il Mojito e con la destra lo smartphone non è colpa vostra, non siete poco interessanti e non lo state annoiando: semplicemente lui non può farne a meno.


Non bisogna pensare che i "malati" di FOMO vivano con piacere questa abitudine. Alcuni avvertono questo disagio sociale e si vergognano se viene fatto loro notare che stanno sempre attaccati al telefono. Tuttavia non possono evitarlo.
La loro spasmodica ricerca di contenuti non è contraccambiata da una soddisfazione nel trovarne. Tutto il contrario: trascorrere un sabato sera a casa o le vacanze estive in città e vedere costantemente gli altri che si divertono ha profonde conseguenze sulla salute mentale di questi soggetti sovraesposti.

 

Ma a questo punto chi davvero soffre di dipendenza dai social network, chi ricarica continuamente la sezione Notizie in cerca di intrattenimento oppure chi pubblica ogni singolo istante della propria esistenza, per ostentare di starsi divertendo? Entrambi, è la risposta corretta. E chi rimane a casa il sabato sera non dovrebbe provare invidia per chi invece è uscito ed è in compagnia: se questi ultimi passano la serata a far video boomerang a un bicchiere colorato per mostrare di spassarsela, ecco forse non si stanno divertendo poi tanto…

 

 

Bisogna precisare, però, che la FOMO non nasce con i social network. È facile imputare a essi tutti i problemi sociali che ci affliggono oggi, ma la verità è che il web ha solo dato luce al fenomeno, rendendolo virale. 
Come non menzionare Cenerentola e la sua brama di partecipare al ballo, A TUTTI I COSTI. Una Cenerentola di oggi avrebbe probabilmente scritto un tweet per lamentarsi di come la sua adolescenza faccia schifo, chiusa in casa ogni sera, senza amici e solo qualche topo da compagnia, riflessione maturata guardando i brutti selfie delle sorellastre (a labbra increspate in finti baci) che se la spassano al ballo. Ve la immaginate? Io ce la vedrei benissimo.

Oppure vi sarà sicuramente successo da bambini di non voler andare a dormire presto per "paura" di perdervi qualcosa: conversazioni tra i grandi, giochi, storie, una stella cadente. O ancora, non vi manca mai il vostro animale domestico quando siete costretti a stargli lontano per molto tempo? Chissà quante sue facce buffe vi perderete. E quante coccole mancate! (Lo ammetto, questa FOMO è specificamente autobiografica, ma posso sperare sia condivisa).

 

 

Insomma non dobbiamo pensare alla FOMO come all'ombra grigia di Instagram. Non riguarda solo il web, anche se i social network rendono il fenomeno particolarmente preoccupante. Il motivo è che, di fatto, il web è una mistura di comportamenti eterogenei e quasi mai completamente genuini. Una persona sola, triste, depressa o malinconica, nei suoi momenti peggiori, non è in grado di distinguere tra un contenuto di valore, un'aspirazione da desiderare e, invece, un successo di facciata, costruito meramente per creare invidia ma vuoto di nobiltà. Per chi si sente solo — di persone e di esperienze — ogni vita altrui è migliore della propria, ogni giornata altrui un'avventura, ogni corpo un corpo da invidiare, ogni obiettivo irraggiungibile. 
FOMO quindi è prima di tutto paura, pertanto una situazione non sana.

 

Se vi siete accorti di soffrire di FOMO potete fare così: riflettete sul fatto che non tutto ciò che state vedendo sullo schermo è reale, la maggior parte delle situazioni che sembrano spontanee non lo è, molti sorrisi sono ben riusciti perché provati una trentina di volte almeno. Provate a non prendere in mano il telefono per qualche ora chiedendovi se sia davvero vitale per voi guardarci dentro, e se non facendolo non vi sentite invece molto meglio.

E poi pensate che ora esistono le stories in evidenza — grazie Mark! — e che potete sperare che se vi siete persi dei contenuti davvero rilevanti potrete sicuramente trovarli lì.

 

Se qualcuno nella storia è mai morto di FOMO quella è Emily Dickinson: un'agorafobica che ha vissuto in un mondo "virtuale" senza lasciare mai la sua casa. Ma ancora oggi milioni di persone leggono le sue poesie, che raccontano la vita in maniera incomparabile. "Vivere — scrisse — è così sorprendente che lascia poco spazio per qualsiasi altra cosa". 

(Marta Beck)

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(Si, lo so che ti ho appena detto di mettere via lo smartphone, ma ci vorrà un attimo, te lo prometto. E poi hai promesso di organizzarla, quella grigliata a casa tua. Forza, l'estate sta finendo! Crea la tua prima colletta e passa un pomeriggio indimenticabile con gli amici. E non invitare FOMO, ovviamente.)

 

Alessia Grimaldi
#Bio

Nata in campagna e trapiantata in città, è una fervente amante delle metropoli contemporanee di grattacieli e possibilità. Una (quasi) laurea in Lettere, Alessia ha mille passioni e ne scopre di nuove ogni giorno. Ama leggere romanzi americani scritti bene, mangiare pizza e scoprire nuove band. Mal sopporta la banalità e finisce semprele frasi degli altri. È l’amorevole mamma di Daisy, un bulldog francese testardo tutto graffi e coccole. Nel tempo libero gestisce, insieme a suo fratello, la pagina Instagram Shotz of Italia sulle bellezze naturali del nostro paese, nata per gioco, ora fonte di soddisfazioni. Le sue doti multitasking entrano spesso in conflitto con le ventiquattr’ore giornaliere.