La partenza dello studente fuorisede dopo le vacanze di Natale

Di Diana Pettinato - Scritto il

 

Forse è inutile specificarlo, ma quando parliamo di partenza ci stiamo ovviamente riferendo alla partenza dalla città natale in direzione della città che ci ospita per motivi di studio. Generalmente tra queste due città c’è una quantità rilevate di chilometri, dato che sono più gli studenti del sud che migrano alla ricerca delle migliori università, ma credo che l’arrivederci a Casa (con la c maiuscola) dopo le vacanze di Natale sia qualcosa di talmente straziante da superare il divario geografico, accomunando gli studenti provenienti da ogni parte d’Italia.

Cominciamo con l’arrivo a casa prima di Natale: felicità, giubilo, atmosfera di festa. Ci sembra di avere davanti a noi tutto il tempo del mondo, ma, si sa, il tempo passa in fretta quando ci si diverte. E in un batter d’occhio Natale è già passato, i pantaloni che prima ci stavano un po’ larghi adesso fanno fatica ad abbottonarsi e ci stiamo preparando per il Capodanno.

E da qui in poi, è tutta una discesa verso la disperazione.

Cominciamo a fare il countdown dei giorni che ci rimangono da passare a casa, nemmeno fossimo dei detenuti nel braccio della morte, e cerchiamo di riempirli di cose da fare e di persone da vedere, programmando una media di 5 caffè al giorno, 3 aperitivi e 4 amari dopo cena. E all’improvviso ecco che arriva il giorno prima della partenza, il giorno in cui il climax dell’angoscia raggiunge il suo acme, provocandoci quella fastidiosa sensazione di stretta allo stomaco tipo vuoto d’aria quando sei in aereo.

Andiamo a letto con la consapevolezza che la notte successiva dormiremo in un letto diverso, in una città diversa, con davanti a noi solo la prospettiva del ritorno allo studio.

Ci svegliamo ed è davvero il fatidico giorno della partenza, quello che a Dicembre pensavamo che non sarebbe mai arrivato. Ripassiamo mentalmente la lista delle cose da fare e, stampandoci un sorriso di circostanza sulla faccia, cominciamo a farle.

Si inizia con la valigia (beato chi, al contrario di me, comincia a sistemarla già nei giorni precedenti). Appena cominciamo ad affastellarci dentro maglioni e mutande sorge spontanea la domanda “ma come ho fatto a farci stare tutto all’andata?”. Mistero della fede: probabilmente anche i vestiti si sono ampliati come le nostre panze, occupando quindi più spazio di prima. Una volta finito di svuotare l’armadio, ci accorgiamo con terrore che non avevamo considerato i regali di Natale, tutti ancora nelle buste in cui ci sono arrivati, e così ricominciamo con un Tetris perso in partenza per arrivare poi alla conclusione più ovvia: “mamma, me lo spedite un pacco?”. Che poi è sempre una buona scusa per ricevere anche derrate alimentari, dai taralli, alle bottiglie di salsa, ai funghetti sottolio.

Non si sa come, sedendoci sopra, schiacciando di qua, tirando di là e sfidando le leggi della fisica, riusciamo a chiudere la valigia. Emettiamo un sospiro di sollievo, ma di colpo di rendiamo conto che aver finito la valigia significa passare alla fase successiva: il giro dei saluti. Non si può evitare di salutare la nonna prima della partenza, anche se siete stati insieme il giorno prima, ed è chiaro che una volta che vai a salutare una nonna devi andare a salutare anche l’altra per par condicio, e poi anche la zia, i cugini, l’amica e la maestra delle elementari. Un tour di arrivederci e commozione, in cui siamo costretti a rispondere cento volte alla stessa domanda (“e adesso quando ritorni?”) senza conoscerne realmente la risposta, promettendo futuri pranzi e gite da fare insieme.

La verità è che il tempo non è mai abbastanza, che bisognerebbe sfruttare ogni momento che abbiamo e vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. E queste sono le considerazioni filosofiche a cui ci abbandoniamo mentre veniamo deportati (sì, deportati) verso l’aeroporto o la stazione, passando per le strade che stiamo per lasciare e salutando la nostra città, che all’improvviso è diventata mitica e bellissima, anche se fino a qualche anno fa non ce ne rendevamo conto.

 

Per me oggi è quel giorno, quello della partenza: ho appena finito di sistemare la valigia e sto per cominciare il giro dei saluti. Ci sono tanti caffè che non ho bevuto, troppe persone che non sono riuscita a salutare e molte cose che avrei voluto ancora fare, ma parto col sorriso pensando che sarà tutto qui ad attendermi la prossima volta che metterò piede a Casa.

 

Diana Pettinato
#Bio

Catanese di nascita e di spirito, abita attualmente a Milano. Medico per vocazione, nel tempo libero si diverte a preparare dolci e a scattare foto, pubblicandole dopo su Instagram. Ha un'insana passione per le torte di mele, i cappelli, le tazze, il Natale e i viaggi. Ama leggere, andare alle mostre e guardare i film (anche se alla fine guarda sempre gli stessi). Punti fermi: la sua famiglia, i suoi amici e la voglia di sorridere sempre. Sogni nel cassetto: studiare a Parigi e aver un cane di nome Paul Anka.