Perché ci piace l'Indie Music

Di Alessia Grimaldi - Scritto il

 

Il termine Indie non è originariamente legato a un genere musicale, ma descrive una produzione indipendente dalle grandi case discografiche. Pertanto ogni genere può essere indie: pop, rock, elettronica, punk.
Oggi invece, sulla scena musicale italiana, il termine indie è venuto a identificare un particolare genere musicale che ha anche creato un modo di vestire: uno stile retrò, giacche di jeans, converse, felpe extralarge, camicie a quadri.

Questo genere, ribattezzato anche ItPop (musica italiana che suona popolare) ingloba artisti emergenti, alternativi e malinconici. Nomi come Calcutta, TheGiornalisti, Gazzelle, Canova - ormai ampiamente conosciuti, e non così di nicchia come il vero indie vorrebbe - impersonano un'estetica giovanile e innamorata, popolare e facilmente godibile.

 

Un genere sempre più prorompente, tanto amato da chi lo ascolta quanto odiato dalla critica, sia per i temi affrontati sia per la ripetitività e vuotezza di contenuti. 

La musica indie italiana parla di giovani ragazzi, spesso innamorati di ragazze complicate e spesso senza una meta chiara davanti, inquieti nella vita adulta, che vivono di istanti, di notte, tra alcol e droga.
I testi sono tutto un ripetersi di termini quotidiani e cliché romantici: felpe, mutande, cuore, caffè, luna, mare, notte, treni, sigarette. Riescono anche a comporre brani orecchiabili, ma non reggono un’analisi testuale un po’ più accurata.


E la notte si prende quello che vuole
E non lascia quasi niente
È che siamo soltanto persone sole
Perdute fra la gente
Siamo come giornate buttate al cesso
Come i sorrisi spenti, in mezzo ai denti, a tempo perso
E non crescono i fiori, è vero, dove cammino io
Ma nemmeno è tutto nero

(Nero, Gazzelle)

 

Sembrano quasi pagine di diario: ognuno porta la propria storia, i propri drammi e le malinconie. Brani che alla fine piacciono perché chi ascolta ci si ritrova, in quelle storie, le legge come specchio delle proprie. Insomma, dietro una velata volgarità intravediamo una sincerità che ci disarma, perché ci rappresenta.


Le passano in radio, le cantiamo sotto la doccia, ma sono vuote della profondità ulteriore che si chiede all’arte. Le metafore sono assenti mentre le similitudini sono spiegate o addirittura trite. E anche le basi musicali sottostanti non presentano molta più originalità.


Dai, non fa niente
Mi richiamerai da un call center
E io ti dirò
Lo sai che io ti dirò
Uè deficiente

(Pesto, Calcutta)

 

Le case discografiche non hanno colpa, producono ciò che piace: un canticchiare uniforme (senza voli pindarici) che spopola nella fascia liceale e universitaria.

 


Ma è forse ingiusto paragonare la musica di oggi a quella di ieri? È sbagliato criticarla solo perché non assomiglia ai grandi cantautori del passato? Probabilmente è ingiusto leggere l’Indie italiano come una degenerazione di De Gregori, Dalla, De André, Venditti, Battisti e compagnia. Bisognerebbe più correttamente valutare il fenomeno per sé, senza erigere paragoni insostenibili per una delle due parti.

Alla fin fine all’arte si chiede di trasmettere emozioni, non di essere ermetica. E se l’Indie le emozioni le produce, aggrega, fa cantare, ispira, che male c’è se è musica semplice? Non diamo a un genere la colpa di uccidere la buona musica. Se è “morta” ci saranno ben altri motivi.


Insomma siete liberi di continuare ad ascoltare Guccini e chiudervi a ogni novità esterna, ma se oggi l’Indie è cosi presente sulla scena musicale è perché piace, perché è un modo di esprimersi diretto che parla di sentimenti ma si può cantare anche in gruppo, a squarciagola al karaoke.

Ti mando un vocale
Di dieci minuti
Soltanto per dirti
Quanto sono felice
Ma quanto è puttana
Questa felicità
Che dura un minuto
Ma che botta ci dà

(Felicità puttana, TheGiornalisti)

 

Inoltre, è impreciso generalizzare: non tutto l’ItPop è da buttare. Personalmente mi trovo concorde sulla banalità di alcuni testi, ma molti altri non hanno nulla da invidiare alla poesia. Qualche esempio: Brunori Sas che nei suoi testi affronta anche temi attuali con una carezza di parole e una fermezza disarmante; Colapesce che scrive per visioni oniriche e malinconiche; Motta che ci urla di rabbia, dentro le canzoni. E poi ancora Le Luci della Centrale Elettrica, I Cani, The Zen Circus e aggiungiamo all'elenco anche una donna, Levante, diventata vera icona di stile.


Naufrago leghista
Salvato da un rumeno
Residente a Milano

Aspirapolvere nel deserto
Un nuovo sospettato
In un caso già chiuso

Come, quando
Sono a un palmo di naso
Dalla tua pelle
E non riesco a sfiorati
Non riesco a sfiorarti

(La distruzione di un amore, Colapesce)

 

Le critiche attaccano le voci – spontanee, stonate, sporche – e i contenuti, condannando l’ostentazione di una vita sregolata all’insegna delle droghe e delle ore piccole, biasimano l’immagine della donna che l’indie dipinge, mero oggetto di adorazione, goffa, folle, volubile. Tutti fumano, tanto, stanno svegli di notte e guardano alla luna, che non risolve, ma riflette a specchio i dubbi e le paure. Insomma una chiara evidenza dell’insicurezza giovanile di questi anni, della spasmodica ricerca di affetto e radici.
Bene, sembra proprio che un senso ci sia, che non sia tutto vuoto questo canticchiare stonato…


La musica è troppo forte non si riesce a parlare
Sono troppi anni che perdi la voce
Per urlare per favore
Per qualcuno che ha sempre qualcosa da fare
E ti guardano come fossero stranieri
Mentre continuano a muoversi male
E tu da solo

(Ed è quasi come essere felice, Motta)

 

A volte può rivelare anche scritture argute, con reference virtuali o popolari che se non colte possono dare l'impressione di non-sense. Quando Calcutta canta "Lo sai che la Tachiprina 500 se ne prendi due diventa 1000" fa il verso a un rivale che deride le canzoni indie perché composte da parole a caso, come prese dai bugiardini della tachipirina.


Insomma, questo indie italiano, che per definizione dovrebbe essere un genere alternativo e non di largo consumo, sta invadendo sempre di più la maggioranza dello spazio musicale. Possiamo apprezzarlo o meno, ma chi siamo noi per bollare come mediocre il lavoro (L'ARTE!) altrui? La musica è una questione troppo soggettiva per assegnare torto o ragione. Prendiamola com'è: musica senza pretese, giochi di malinconie, da ascoltare in un giorno di pioggia o nelle sere tra amici. Che almeno sulla musica non facciamoci la guerra!

 

E l'hai letto nelle stelle che la musica ci darà il pane
Il realismo l'avrai lasciato a qualche mercatino equosolidale
Irene, non ci credere poi tanto allo zodiaco
Che la musica il pane quotidiano lo dà solo a chi è celiaco

(Irene, Pinguini Tattici Nucleari)

 

 

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Alessia Grimaldi
#Bio

Nata in campagna e trapiantata in città, è una fervente amante delle metropoli contemporanee di grattacieli e possibilità. Una (quasi) laurea in Lettere, Alessia ha mille passioni e ne scopre di nuove ogni giorno. Ama leggere romanzi americani scritti bene, mangiare pizza e scoprire nuove band. Mal sopporta la banalità e finisce semprele frasi degli altri. È l’amorevole mamma di Daisy, un bulldog francese testardo tutto graffi e coccole. Nel tempo libero gestisce, insieme a suo fratello, la pagina Instagram Shotz of Italia sulle bellezze naturali del nostro paese, nata per gioco, ora fonte di soddisfazioni. Le sue doti multitasking entrano spesso in conflitto con le ventiquattr’ore giornaliere.