Studenti fuorisede lontani da casa: cosa odiano e perché

Di Diana Pettinato - Scritto il



Inizio settembre, fuori fa ancora caldo, il ricordo dell’esame di maturità comincia ad affievolirsi, anche se l’estate in cui lo abbiamo sostenuto non è ancora del tutto finita: probabilmente è per colpa di questa situazione di apparente calma, o forse dei residui di alcol etilico post-festeggiamento che ancora ci scorrono nelle vene, che cominciamo a pensare che iscriverci all’università sarebbe anche un ottimo modo per abbandonare la nostra terra natia. All’inizio abbiamo un po’ paura, ma poi più ci pensiamo, più cominciamo a convincerci che sia una grande grande idea. E così cominciamo a vagliare le possibili ipotesi per spiccare il volo dal nostro confortevole nido familiare e buttarci nell’imprevedibilità di una città nuova.

 

Milano, Roma, Torino, Bologna e per i più coraggiosi e hipster Londra o Barcellona.

 

Siamo gasati, siamo carichi: schiaffiamo nella valigia i ventisette kg di roba indispensabile che pensiamo di volerci portare dietro (senza sapere che verrà in ogni caso seguita da pacchi di vestiti e derrate alimentari inviate dalla mamma ansiosa di turno) e ci insediamo nella nostra nuova casa.

 

E già da qui comincia il panico: forse, e dico forse, non avevamo considerato il fatto che una casa senza genitori potesse mancare di confort e servizi a cui eravamo abituati. Iniziamo a fare caso al fatto che, se lasciamo una maglietta appallottolata su una sedia, una settimana dopo la ritroveremo esattamente nello stesso punto, invece che magicamente riposta nel cassetto come succedeva quando stavamo a casa con mammà. Il disordine comincia ad accumularsi come un mostro nutrito dalla nostra inettitudine e dalla nostra inesperienza, fin quando una domenica qualunque non decidiamo di provare per la prima volta l’ebrezza della rassettatura e in appena sei o sette ore riusciamo a rendere vivibile il nostro alloggio.

 

Abbiamo fatto conoscenza con l’aspirapolvere e lo straccio e tutto sommato pensiamo anche di poter diventare amici e compagni di bevute, probabilmente perché non abbiamo ancora capito che per mantenere vivibile la nostra tana bisognerà incontrarsi con i nostri nuovi amici almeno una volta a settimana: ed è proprio quando capisci che il tuo unico momento libero della settimana, quel sabato mattina tanto agognato, verrà sprecato a pulire che cominci a pensare di aver fatto una bella cavolata.

E vi dirò di più: la cosa peggiore per me non è stata la questione pulizie, ma la questione bucato.

 

Non avevo mai fatto una lavatrice in vita mia e a quasi dieci anni dalla proclamazione della mia indipendenza domestica non ho ancora capito a pieno come si lavano i colorati. Mettete in conto episodi in cui tutti i vostri calzini bianchi diventeranno rosa perché li avete lavati col pigiama natalizio e quelli in cui la vostra maglietta preferita diventa taglia polly poket perché l’avete lavata ad una temperatura troppo alta.

 

Per non parlare delle tonnellate di calzini persi dentro la lavatrice e finiti chissà dove.

E quando riuscirete a fare il bucato perfetto pensateci due volte prima di esultare: ora bisogna stirare. Anche se, a dire il vero, a questo si può ovviare rassegnandosi all’idea di uscire per sempre con le magliette stropicciate che tanto chi se ne frega, al primo abbraccio si stropicceranno di nuovo.

 

Abbandonato il magico mondo di detersivi e sgrassatori, però, resta ancora una grande questione in sospeso: il fabbisogno energetico. Ossia mangiare. Partiamo dal fare la spesa: passerete varie fasi, dall’entusiasmo per le infinte possibilità offerte dal supermercato, allo sconforto perché vi sono rimasti soldi solo per comprare due cipolle, alla rassegnazione per l’ennesimo acquisto del tonno in scatola.

 

Perché dovete saperlo: dimenticatevi le lasagne della mamma, la parmigiana della nonna, il ciambellone della zia. La vostra alimentazione avrà dei cardini base di una semplicità sconfortante: trovate qui il menù dei vostri anni universitari. E quando tornerete a casa stanchi e svogliati e troverete ad attendervi solo un piatto vuoto, penserete con una lacrimuccia al momento in cui farete il vostro ritorno trionfale a casa.

 

In realtà essere uno studente fuorisede ha anche i suoi lati positivi: spaghettata alle tre di notte senza genitori che si svegliano, poter bivaccare sul divano senza nessuno che ti fa la ramanzina, aggirarsi per casa in mutande senza qualcuno che ti dice che non si fa, feste improvvisate con fustini di birra anche nel bagno.

 

E se vi piacciono le feste, vedrete come sarà bella la vostra festa di laurea, ma ancora di più il regalo di laurea che vi sarete guadagnati in tutti questi anni di studio e patimenti casalinghi.

 

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Diana Pettinato
#Bio

Catanese di nascita e di spirito, abita attualmente a Milano. Medico per vocazione, nel tempo libero si diverte a preparare dolci e a scattare foto, pubblicandole dopo su Instagram. Ha un'insana passione per le torte di mele, i cappelli, le tazze, il Natale e i viaggi. Ama leggere, andare alle mostre e guardare i film (anche se alla fine guarda sempre gli stessi). Punti fermi: la sua famiglia, i suoi amici e la voglia di sorridere sempre. Sogni nel cassetto: studiare a Parigi e aver un cane di nome Paul Anka.