Lettera di un ex studente di Medicina a uno studente di Medicina

Di Diana Pettinato - Scritto il



Caro Studente di Medicina,

 

hai presente il libro “Canto di Natale” di Charles Dickens? Probabilmente no, perché se studi Medicina quando mai ce l’hai il tempo di leggere qualcosa di diverso dall’Harrison? In questo libro il protagonista riceve la visita di tre fantasmi - dal passato, dal presente e dal futuro - che gli raccontano qualcosa su di lui nei diversi tempi verbali di cui si fanno portavoce. Senza voler peccare di presunzione, voglio anch’io raccontarti qualcosa di te: del te del passato, del presente e del futuro.

Ti ricordi com’eri quel giorno, il primo giorno, quando sei entrato in aula e non sapevi niente anche se pensavi di sapere tutto? Hai varcato la soglia di una porta e di una nuova avventura con la sola certezza che il cuore avesse quattro camere, due atri e due ventricoli, così come avevi imparato prima di andare a fare il test d’ingresso, insieme alla capitale del Kirghizistan e ai vincitori del Nobel dal 1901 a oggi. Quello che però non sapevi è che la tua vita stava per cambiare, il che è romantico, ma fino a un certo punto.

Hai cominciato a notare il cambiamento con Biochimica, chiedendoti come possa una sola persona riuscire a ricordare così tante 6-fosfofruttoqualcosa, ma sei stato costretto a capirlo a pieno con Anatomia e la misteriosa struttura del peritoneo: per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare Medicina ci vuole la rinuncia alla vita sociale. La metà del secondo anno, infatti, è il momento catartico in cui si acquisisce questa consapevolezza e con un unico, profondo e asociale respiro, si supera la sessione estiva, con quella ventata di freschezza che solo Fisiologia con il suo meccanismo di concentrazione controcorrente dell’urina sa dare. E per fortuna che ce l’hai fatta, perché adesso comincia il terzo anno con le cliniche ed è tutta una passeggiata. Come no, un luogo talmente comune che al confronto sostenere che il nuoto è uno sport completo ti fa sembrare i Ching. Quello che forse ancora non sai è che tra le cliniche c’è anche Semeiotica e poi Malattie Infettive, Anatomia Patologica, Neurologia e Farmacologia, il che equivale a un campo minato, altro che passeggiata. E quante notti stai passando insonne a cercare di fare un programma d’esame facendo quadrare i conti per ritagliarti BEN una settimana di vacanza? Notti insonni perché di giorno non hai tempo di farlo, dovendoti dividere tra le lezioni con frequenza obbligatoria, i tirocini, lo studio e le attività per accumulare crediti extra (come se il 598 cumulativi degli esami non fossero sufficienti). E un giorno, purtroppo, ha sempre e solo 24 ore. Non arrabbiarti troppo, però, perché questo è anche il momento in cui cominci a chiederti che tipo di medico vorresti essere, ed è un momento di rapimento, in cui qualcosa cattura la tua attenzione e capisci che nello sconfinato mare di specializzazioni ce n’è una che ti appartiene, e a cui tu appartieni. Cominci ad affacciarti timidamente a quel mondo, e magari scrivi in cartella per la prima volta (“apiretico, PA 120/80, FC 65, SatO2 99%”: menomale, sta meglio di te, che come minimo stai per avere una crisi vagale), fai la tua prima medicazione (mani sudate e guanti sempre troppo piccoli, vero?) o ti lavi per un intervento dopo tanti in cui hai solo guardato (e, anche se è un po’ imbarazzante, fattela una foto con la cuffietta e la mascherina, ti rimarrà come ricordo). Ma soprattutto cominci a girare tra i letti dei pazienti, coltivando quello che ho sempre pensato essere l’aspetto più emozionante di questo lavoro: stare tra le persone, poterle aiutare, non solo con quello che la Medicina ti insegna, ma con quello che ognuno di noi ha dentro, gioendo insieme dei traguardi e piangendo insieme delle sconfitte. E vogliamo parlare della prima volta in cui qualcuno ti chiama “Dottore”? E di quel brivido accompagnato da una sferzata d’orgoglio che va da L5 a C1 e che non dimenticherai mai?


La cosa migliore è che tutto questo non lo vivrai da solo, perché gli studenti di Medicina vanno sempre almeno in coppia, come i Carabinieri, come i calzini che sono rimasti spaiati dopo un lavaggio andato storto o come pane, burro e marmellata, se alla vostra coppia storica avete aggiunto un terzo ingrediente, come è capitato a me. Ed è grazie a questo commovente spirito di squadra che io sono riuscita ad arrivare alla fine.

 

Improvvisamente è il primo giorno del 6° anno, e ti chiedi come cavolo hai fatto ad arrivarci vivo.

E poi anche quest’ultimo anno passa e, vedrai, passa più in fretta di quanto pensi, nonostante le ansie per gli ultimi esami (quelli che hai cominciato a contare sulle dita di una mano – anche se a dire il vero io ho cominciato il conto quando mi servivano ancora due mani belle piene), per i crediti, per la tesi e per tutta la dannata burocrazia che dovrai affrontare per chiedere umilmente di laurearti.

Ti ritroverai a brindare durante l’ultimo giorno di scuola della tua vita, ridendo, piangendo, ricordando. Vedrai quel compagno di classe che ti è sempre sembrato simpatico e proverai il rimpianto di non averci chiacchierato di più, perché pensavi sempre che ci sarebbe stato ancora tempo, ripenserai a tutte le volte che ti sei trascinato in università stanco, spaurito, incazzato, frustrato, ti stupirai di sapere che per le infezioni da  Staphylococcus aureus meticillino-resistente devi dare la vancomicina e senza sapere bene come comincerai a fare quello che negli anni avevi giurato che non avresti mai fatto: provare nostalgia per gli anni di studio. E ripenserai a quella sera di febbraio in cui stavi ripetendo per l’ottantesima volta la terapia delle endocarditi e a quanto odiavi la tua vita: e ti sentirai così stupido. Ti accorgerai troppo tardi di quanto sono stati belli questi anni, nonostante la fatica, le rinunce, le paure, perché ti hanno preparato per essere quello che hai sempre saputo di voler essere: un medico, che non è qualcosa che fai, ma qualcosa che sei.

Ma per fortuna nostra, come non si stanca mai di ripetere l’individuo medio che ti incontra dopo che ti sei laureato, “i medici non finiscono mai di studiare”. E anche se raramente do ragione agli individui medi, stavolta lo faccio con gioia: essere un medico è sempre stato un viaggio faticoso, ma anche molto emozionante per me, e studiare (non per un esame, ma per sé), scoprire, conoscere, sperimentare ne è l’essenza.

Godetevi ogni scoperta, ogni piccolo traguardo e ogni singolo momento, anche e soprattutto quelli brutti e difficili, e fate in modo di non dimenticarveli mai.

Verrà la laurea, e sarà bellissimo.

Verrà il post laurea, e sarà così pieno di possibilità da scombussolarvi.

Verrà lo studio per entrare in specializzazione, e allora sarà il momento di rileggere tutti i buoni sentimenti che avete tirato fuori in un momento di nostalgia, perché vi troverete un’altra volta a snocciolare le 6-fosfofrutto qualcosa e tornerete a chiedervi “ma chi me l’ha fatto fare di fare Medicina?”.

 

Con affetto,

 

un ex studente di Medicina

 

Diana Pettinato
#Bio

Catanese di nascita e di spirito, abita attualmente a Milano. Medico per vocazione, nel tempo libero si diverte a preparare dolci e a scattare foto, pubblicandole dopo su Instagram. Ha un'insana passione per le torte di mele, i cappelli, le tazze, il Natale e i viaggi. Ama leggere, andare alle mostre e guardare i film (anche se alla fine guarda sempre gli stessi). Punti fermi: la sua famiglia, i suoi amici e la voglia di sorridere sempre. Sogni nel cassetto: studiare a Parigi e aver un cane di nome Paul Anka.